Dal lat. parl. cerĕsea(m), da cĕrasus ‘ciliegio’, dal gr. κέρᾰσος (kérasos), forse dalla radice kar=kra esser duro (a cagione della durezza del legno o del nocciolo (cfr. ciriegio e ciliegio)
Da ceresea si ha ciriegia tramite:
- chiusura della ĕ protonica in i (cfr. Rohlfs)
- dittongazione di ĕ in ie in sillaba aperta accentata (cfr. pĕdem → piede, pĕtra → pietra)
- chiusura della ĕ postonica in i in sillaba non finale [cfr. Rohlfs]
- nesso sibilante + jod, che in questo caso ha prodotto una sibilante palatale sonora tenue -ʒ- e poi -dʒ- (cfr. segūsiŭ(m) > [se'guʒo]> [se'gudʒo] segugio) [si veda ad es. Rohlfs per sonorizzazione delle consonanti intervocaliche].
Dunque: da ceresea si ha ciriegia, e poi, in epoca relativamente recente, fra il Cinque e il Secento, ciriegia si trasforma in ciliegia.
Il Rohlfs pensa che ciliegia, con -l- invece di -r-, sia di provenienza francese. Un'altra spiegazione era stata offerta dallo Jud: supponendo che la voce fiorentina sia presa a prestito dall'ant. ligure ceresa, la -l- potrebbe essere dovuta al desiderio d'evitare quello che veniva sentito come un difetto dei Liguri, ossia l'uso di r intervocalica per l.
Secondo Castellani:
Fra il Cinque e il Secento, ciriegia si trasforma in ciliegia. Perché questo cambiamento? Perché, direi, il dittongo iè dopo r si pronuncia male (la presenza di r costringe a dar pieno valore vocalico alla prima componente: ciri-egia). In un periodo in cui brieve si riduce a breve, criepa a crepa, ecc., per ciriegia si sceglie un'altra possibilità (che non esiste nel caso di ie preceduto da cons. + r): si conserva il dittongo, e si sostituisce l a r. La nuova forma, evidentemente, non può essere nata nella Toscana meridionale o in Lucchesia (dove s'è sempre usato il tipo CERASEA), né nella Toscana orientale (dove si ha siregia o ciregia). E non ci sarà da pensare nemmeno a Pisa (il Malagòli, Voc. pis., segnala un'attestazione di ceragia ancora nel sec. XVII). Rimane Firenze col suo distretto, e la zona di Prato-Pistoia. In ogni modo, dal Secento in poi la forma ciliegia è caratteristicamente fiorentina; e come tale è stata accolta nella lingua letteraria.
(A. Castellani)
Autocorrezione di Arrigo Castellani (Saggi di linguistica e filologia italiana e romanza, Roma, Salerno Editrice, 1980, tomo II, pp. 14-15):
Va corretta la frase della mia nota del 1960 in cui si dice che «la presenza di r costringe a dar pieno valore vocalico alla prima componente del dittongo iè». Non c’è nessuna tendenza, nel fiorentino contemporaneo, a dar carattere vocalico alla i di «Via dell’Ariento». Tale tendenza può esserci stata quattro secoli fa: ma la cosa ha importanza secondaria. Quel che conta, è che la sequenza voc. + r + iè apparisse anomala. Sarà un caso che le due sole voci popolari che la contenevano, ariento e ciriegia, siano state sostituite da voci diverse? Non è lecito collegare questa sostituzione coll’essere venuta a mancare, in una serie di parole ben altrimenti consistente, la sequenza cons. + r + iè?
Tornando oggi sul problema, penso si debba tener conto dell’ipotesi che ciliegia sia una forma fanciullesca. La r è l’ultima consonante che i bambini, o per lo meno molti bambini, imparino ad articolar bene. Uno dei suoni più vicini è l; e l è suggerita dall’articolo: le ciriegie > le ciliegie. Il tipo con -l- sarebbe potuto rimanere sotto il limitare della «lingua»: s’è imposto in un momento particolarmente favorevole, quando cioè la vecchia norma riguardante cons. + r + iè cedeva alla nuova (con riflessi su voc. + r + iè).
È ovviamente da escludersi che il ligure antico ceresa o il francese cerise (ci si chiede perché cerise, visto che il rotacismo non esiste in francese come fenomeno caratterizzante) abbiano fornito al fiorentino, nel secolo XVI, «a model for “hyper-Tuscanism”».