Termini come questi possono assumere significati e sfumature diverse a seconda dei contesti culturali, storici, filosofici in cui vengono usati. Sarebbe interessante dunque sapere qual è la novella del Decameron in questione, così da contestualizzare tale differenza di significato.
Se vogliamo generalizzare e prendere come campo semantico di riferimento il senso comune, l'uso quotidiano che si fa dei due termini, realtà è qualcosa che si conosce con i sensi, che si può indicare e definire esistente perché la si vede, tocca, sente. "Reale" è contrapposto a immaginario, inventato, frutto della fantasia. Verità può coincidere con realtà o anche no. Certe cose possono essere reali ma non vere (es. una banconota falsa) oppure vere ma non reali (es. appunto certi concetti astratti, frutto dell'intelletto).
Se invece ci spostiamo sul piano ontologico, i due termini coincidono. Ciò che è vero è reale e ciò che è reale è vero. È il piano dell'essere, della consapevolezza, lo si conquista con l'indagine interiore e va oltre la mente. Non è un concetto filosofico, ma un'esperienza interiore, ancor più profonda dell'esperienza del mondo esterno fatta con i cinque sensi. Il focus qui non è sul mondo esterno, è sul mondo interiore, sul soggetto. Il quale è l'unica realtà. Il mondo esterno è reale solo in quanto conosciuto dal soggetto, il quale è, per sé, la propria verità. Essa non è un concetto astratto, ma qualcosa di concreto perché è, momento per momento, ciò che il soggetto scopre grazie alla propria consapevolezza. Verità e realtà dunque corrispondono a contenuti diversi solo ammettendo che la fonte del vero sia qualcosa di oggettivo, riferito a sistemi di credenza che dovrebbero essere validi per tutti. Superato tale punto di riferimento, una volta che l'essere umano si riconosce dentro di sé colui che è, non vi è più motivo di credere vero qualcosa di esterno alla propria realtà ontologica "Io sono".