Recentemente ho iniziato a prendere lezioni di dizione da un'attrice diplomata, per correggere la cadenza dialettale (meridionale) ed alcuni vezzi di pronuncia. Ebbene, molti degli errori che mi sono stati segnalati me li aspettavo, ma dopo aver riascoltato a casa la registrazione della prova di lettura, sono rimasto basito nel notare che non avevo azzeccato neanche una s intervocalica - o meglio, solo quelle che per assonanza con correzioni precedenti, ho intuito di dover rendere sonore: ad esempio tutti gli /-ozo/, /-eze/, forme del passato remoto come misero > /ˈmizero/ e casa > /kaza/. Cercando online ho realizzato che nel Centro-sud, Toscana e Sardegna escluse, la s intervocalica è sempre sorda - lascito della pronuncia classica del latino, in cui la s non è mai sonora.
La pagina Wikipedia sulla S sorda afferma che la pronuncia standard dell'italiano si basa difatti su quella toscana (ed è ciò che immaginavo), "intermedia e più variata sia di quella settentrionale che di quella centro-meridionale". Ponendo come regola la sonorizzazione della sibilante intervocalica, riporta cinque casistiche di eccezioni, ovvero laddove si ha la sorda /s/. Tra queste, in contraddizione con quanto appreso nella mia prima lezione:
Nei suffissi derivativi -ese per gli etnici (inglese, milanese ecc.; eccezione: francese, che ha la sonora), e -oso e -osa di aggettivi e sostantivi (glorioso, affettuoso, maroso ecc.), comprese le parole da questi derivate (cineseria, gloriosamente, gloriosissimo, affettuosità ecc.);
Nelle desinenze sigmatiche del passato remoto e del participio passato di alcuni verbi irregolari -esi, -ese, -esero, -eso; -osi, -ose, -osero, -oso (resi, rese, resero, reso; e scesi ecc., difesi ecc. ...; e nascosi ecc., posi ecc. ...; ma esplosi ecc. con la sonora);
In alcune parole isolate (e ovviamente nei loro derivati), di cui le più comuni sono: casa, chiusi e chiuso (con socchiusi e socchiuso, ecc.), cosa, così, mese, naso, peso, Pisa, posa e posare, raso, risi e riso (in tutti i significati; anche sorrisi e sorriso).
A questo punto ho approfondito la ricerca, e ho scoperto che i sociolinguisti parlano di ristandardizzazione dell'italiano, ossia l'instaurazione di un italiano neostandard che avvicina lo scritto e il parlato della lingua, con fenomeni morfosintattici noti a tutti (ad esempio egli, ella, essi soppiantati da lui, lei, loro) ma anche relativi alla pronuncia:
rispetto alla realizzazione toscana di casa, [ˈkaːsa], e noioso, [noˈjoːso], attori e annunciatori «tendono a “settentrionalizzare”, generalizzando la sonora» (Serianni, 1988, p. 35: dunque, [ˈkaːza] e [noˈjoːzo]); è così che si pronuncia sempre più spesso, «un po’ dovunque» (Serianni 1988, p. 36), [ˈdziːo] e [ˈdzukːero], di contro alla resa normativa toscana, con affricata alveolare sorda, [ˈtsiːo] e [ˈtsukːero], ancora seguita dalla maggior parte dei dizionari.
(Un estratto dell'articolo La nozione coseriana di dialetto e le sue implicazioni per l'area italoromanza di Riccardo Regis)
Nello stesso articolo si può leggere quella che sembra essere una risposta negativa alla mia domanda nel titolo (il grassetto è mio):
L’italiano standard letterario (il ‘vecchio’ standard) e l’italiano neostandard (il ‘nuovo’ standard) convivono nello schema di architettura dell’italiano contemporaneo di Berruto (1987, p. 21), con il primo che manifesta un maggiore grado di formalità, senza tuttavia arretrare, rispetto al secondo. Ai nostri fini, è interessante che Berruto (1987, p. 23–24) fornisca come etichetta «quasi sinonimica» di italiano neostandard quella di italiano regionale colto medio, che a sua volta è da considerarsi equipollente a italiano regionale standard: mentre italiano neostandard pone «l’accento sugli aspetti unitari, soprattutto morfosintattici, che costituiscono la larga base comune degli impieghi dell’italiano da ritenere normali presso parlanti colti», italiano regionale colto medio evidenzia l’emergere «della differenziazione geografica che sarà percepibile nella gran maggioranza degli utenti» e nel contempo il fatto che «si può ora affermare che ci siano degli italiani regionali standard che costituiscono lo standard di ogni singola area».
Ora, analizzando le indicazioni, univoche, del Dizionario Italiano multimediale di Ortografia e Pronunzia (DOP) si perviene alla stessa conclusione, e cioè si ritrovano regola ed eccezioni mostrate dalla pagina Wikipedia che ho linkato all'inizio. D'altra parte, non è così per il Dizionario di Pronuncia Italiana online (DiPI) che fa capo a Luciano Canepari, professore di Fonetica e fonologia all'Università di Venezia: la sibilante intervocalica sonora viene sempre inserita nel campo "pronuncia moderna: la piú consigliabile", mentre quella sorda, nei casi di interesse (vedi Wikipedia), è la pronuncia "tradizionale: la piú consigliata un tempo".
Infine, molti siti (tutti?) che propongono corsi di dizione online arrivano a sostenere qualcosa come: (il grassetto è mio)
La "S" aspra o sorda italiana si presenta nei seguenti casi:
Quando si trova in principio di vocabolo ed è seguita da vocale.
Quando è iniziale del secondo componente di un vocabolo composto
Quando è doppia
Quando è preceduta da consonante, eccetto nei vocaboli con prefisso "trans-" che vogliono la s dolce o sonora.
Quando è seguita dalle consonanti cosiddette sorde "c", "f", "p", "q", "t".
Nota Bene: alcuni dizionari fonetici stabiliscono che il suono della "s" debba essere aspro anche in molti altri casi come casa, cosa, così, mese, naso, peso, cinese, piemontese, goloso, bisognoso e altri. In realtà questo tipo di pronuncia è caduta quasi del tutto in disuso, fatta eccezione per qualche parlata dell'Italia centrale e meridionale.
In relazione al discorso di Regis nel suo articolo, è importante notare che tra questi siti, http://www.bellascuola.it (che ho citato qui sopra) non è legato al mondo del doppiaggio, bensì "è rivolto agli insegnanti che operano nei corsi di lingua italiana dei C.P.I.A e agli stranieri che frequentano corsi di lingua italiana".
Qualcuno riesce a sbrogliare la matassa?