Il testo di Massimo Fanfani pubblicato sulla Crusca per voi n. 20 (aprile 2000), in risposta alla domanda "Soqquadro: ma perché?", è molto esaustivo:
La lettera q, ereditata dall’alfabeto latino, compare solo nella sequenza qu per rappresentare il cosiddetto nesso labiovelare (costituito da una occlusiva velare sorda, la q, e dalla u semiconsonante), ed è una lettera in sovrappiù perché indica il medesimo suono indicato dalla c, come si nota confrontando cuoco e quoto, scuola e squalo; le grafie diverse si giustificano solo risalendo al latino cocus e quotus, scola e squalus.
Per questa ragione la q “ottiene anche le stesse proprietà” della c, come si legge nel Vocabolario della Crusca (1612), “salvo che, dovendosi raddoppiare, il c gli si pone davanti, in sua vece, come acqua, acquisto”.
Le uniche deroghe a quest’uso generale del raddoppiamento del q compaiono, appunto, in soqquadro (soqquadrare, soqquadrato) e in un altro caso, biqquadro (e, sul suo esempio talora anche in beqquadro). Come spiegare questa insolita e circoscritta grafia qq? Essa è nata certamente per analogia: dato che i rafforzamenti nella maggior parte dei casi vengono indicati raddoppiando il segno della consonante, sul modello di sommossa e soppiatto, si è fatto anche soqquadro. Va detto inoltre che fino a tutto il Quattrocento la forma di raddoppiamento della q fu oscillante e perfino il nostro soqquadro fu scritto socquadro. E ancora Claudio Tolomei nel Polito (1525) scrive aqqua accanto ad acquistarsi e piacque. I grammatici cinquecenteschi, a partire dal Fortunio, optarono invece per la grafia latineggiante cq e così essa si impose rapidamente e universalmente. I nostri due termini, entrambi abbastanza defilati, l’uno appartenendo al linguaggio tecnico dei musicisti, l’altro, come risulterebbe da un’annotazione al Malmantile del Lippi, al gergo di muratori e artigiani, riuscirono a fissarsi nell’uso scritto con il loro raddoppiamento analogico e in questa forma sono giunti fino ad oggi.
In passato c’è stato chi era favorevole all’eliminazione di tali residui grafici, come Amerindo Camilli (Pronuncia e grafi a dell’italiano, 1956, p. 38): “Biqquadro e soqquadro sono due eccezioni fastidiose e assurde: quindi noi siamo d’opinione che si possa e sia meglio scrivere bicquadro e socquadro”. Ma considerando che eccezioni e incongruenze nella grafia si sono sempre tollerate in ogni lingua, e che in fin dei conti nel nostro caso si tratta di due termini innocui e piuttosto rari, credo convenga continuare a scriverli così come sono stati tramandati, e a riguardarli anzi con un certo rispetto, dal momento che, riuscendo a scampare fortunosamente all’opera normalizzatrice dei grammatici, ci mostrano ancora gli unici campioni superstiti di un vecchio modo di raddoppiare la q.