Ecco l'inizio del romanzo La luna e i falò, di Cesare Pavese:
C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba.
Il fatto che con la cittadina di Alba si usi la preposizione "in", mentre invece si usa "a" con Canelli e Barbaresco (d'accordo alla regola che appare nelle grammatiche) ha attirato la mia attenzione, soprattutto perché ricordo che anche Fenoglio scrive sempre "in Alba". Per esempio, ecco una frase tratta dal racconto I ventitré giorni della città di Alba:
Non che non n’avesse visti mai, al tempo che in Alba era di guarnigione il II Reggimento Cacciatori degli Appennini e che questi tornavano dall’aver rastrellato una porzione di Langa, ce n’era sempre da vedere uno o due con le mani legate col fildiferro e il muso macellato, ma erano solo uno o due, mentre ora c’erano tutti (come credere che ce ne fossero altri ancora?) e nella loro miglior forma.
Anche nell'introduzione al libro Tutti i racconti di Beppe Fenoglio, edito da Einaudi, Luca Bufano scrive:
Piú che negli studi liceali, compiuti in Alba sotto la guida d’insegnanti d’eccezione, o in quelli universitari, iniziati a Torino nell’autunno del 1940 e interrotti due anni dopo dalla chiamata alle armi, anche Beppe Fenoglio, come molti suoi coetanei cresciuti all’ombra del fascismo, visse con la guerra partigiana l’esperienza piú alta e formativa.
Quindi non sembra si tratti della scelta stilistica di un autore. La mia domanda è: perché si usa la preposizione "in" prima di "Alba" invece di "ad", che è quello che ci si aspetterebbe d'accordo alla regola che appare nelle grammatiche?
Aggiornamento:
Ho recentemente scoperto che questo uso della preposizione "in" è attestato da Serianni nel suo libro Italiano. Nella sezione VIII.85 si può leggere:
a) L'uso di in con i nomi di città era abbastanza diffuso anticamente: «mandare in Pisa» (Novellino), «va en Arezzo» (Guittone d'Arezzo), «se mai torni en Siena» (Cecco Angiolieri), «per mandarvi la figliuola in Granata», «in Messina tornati» (Boccaccio; esempi citati in ROHLFS 1966-69: 807). Ancora nell'Ottocento, il Manzoni preferisce «in Milano» a «a Milano»: «andavano in giro facce, che in Milano non s'erano mai vedute» (I Promessi Sposi, XVI 55).
b) Talvolta l'uso di in o di a con nomi di città oscilla anche per toponimi di una stessa area regionale; si veda questo esempio di Pavese: «C’è una ragione perché sono tornato in questo paese, qui e non invece a Canelli, a Barbaresco o in Alba.» (La luna e i falò, 9).
c) In alcune zone l'uso di in con nomi di città è generalizzato, come si ricava da questo passo di Palazzeschi in cui lo scrittore descrive il disagio, anche linguistico, delle fiorentine sorelle Materassi costrette a partire per le Marche: «per andare in Ancona si doveva cambiare a Faenza. Che cos'era mai questa Ancona per cui si doveva cambiare, se per andare a Roma non si doveva cambiare proprio nulla? E dava loro noia quell''in' che si rendeva necessario per pronunziarne il nome. Per tutte le altre città si dice: 'a Roma, a Napoli, a Milano, a Torino, a Firenze'» (Sorelle Materassi, 85).
d) Nello stato in luogo degli odonimi al tipo «in via Cavour», di uso più generale e tradizionale, si affianca il tipo romanesco e meridionale «a via Cavour», in parte debordato dall'uso locale a quello letterario (Moravia, ecc.) e giornalistico; cfr. BALDELLI 1964: 335.
e) Nello stile formale e ufficiale può aversi in con una qualifica professionale seguita da un toponimo: «Ringrazio il sig. Pietro Bilancioni avvocato in Ravenna» (Carducci, Opere).
Da notare come Serianni menziona anche l'uso della preposizione "in" nel linguaggio burocratico spiegato da @user070221 nella sua risposta, ma lo fa come un caso diverso (la lettera e) nell'elenco sopra citato). Dunque, anche Serianni esclude che gli esempi con "in Alba" o "in Ancona" citati nel suo libro corrispondano a questo uso della preposizione "in" nello "stile formale e ufficiale". Sembra piuttosto trattarsi di un uso regionale.