Nel romanzo La luna e i falò, di Cesare Pavese, ho letto:
A me piace parlare con Nuto; adesso siamo uomini e ci conosciamo; ma prima, ai tempi della Mora, del lavoro in cascina, lui che ha tre anni piú di me sapeva già fischiare e suonare la chitarra, era cercato e ascoltato, ragionava coi grandi, con noi ragazzi, strizzava l’occhio alle donne. Già allora gli andavo dietro e alle volte scappavo dai beni per correre con lui nella riva o dentro il Belbo, a caccia di nidi.
Non capisco il significato di "beni" in questo passo. Ho cercato alla voce "bene" sul vocabolario Treccani, ma non riesco a trovare un'accezione adatta al contesto del brano. Potreste aiutarmi a chiarire i miei dubbi?
Aggiornamento:
Ho visto che questo vocabolo appare parecchie volte nel romanzo, penso che con lo stesso significato. Per esempio:
E piú mi piace quando andiamo nei beni, quando traversiamo un’aia, visitiamo una stalla, beviamo un bicchiere.
– Dove sono questi raccolti? – gli dico, – questi profitti? Perché non li spendete nei beni?
Eppure io per il mondo, lui per quelle colline, avevamo girato girato, senza mai poter dire: «Questi sono i miei beni. Su questa trave invecchierò. Morirò in questa stanza».
Dalla piazza si vedeva la collinetta dove aveva i suoi beni, dietro il tetto del municipio, una vigna mal tenuta, piena d’erba, e sopra, contro il cielo, un ciuffo di pini e di canne.
Per fare un dispetto a qualcuno presi la roncola e scappai nei beni, «cosí, – pensavo, – non faccio la guardia. Bruciasse la casa, venissero i ladri». Nei beni non sentivo piú il chiacchiericcio dei passanti e questo mi dava ancor piú rabbia e paura, avevo voglia di piangere.
E qualche volta anche loro uscivano nei beni, sui sentieri, in scarpette, parlavano con la Serafina, col massaro, avevano paura dei manzi, portavano un bel cestino e raccoglievano l’uva luglienga.