Nel romanzo Prendiluna, di Stefano Benni, ho letto (grassetto mio):
– Michele, – disse Dolcino – so come rintracciare Prendiluna. Abbiamo il suo numero di cellulare.
– Che fessi, potevamo pensarci prima – disse Michele.
– Proprio così... Sei capace di usarlo?
– Certo. Ne ho rubati tanti.
Diteggiò. Sentirono una suoneria proprio alle loro spalle, era A dream is a wish your heart makes di David-Hoffman-Livingston. Ovverossia I sogni son desideri dal film Cenerentola.
Ho cercato il verbo "diteggiare" in parecchi dizionari, ma ho trovato soltanto accezioni che fanno riferimento alla musica.
Sul libro La scrittura cerca l'assassino. (È gradito l'alibi di sera), di Carlo Villa, però, ne ho trovato un altro esempio riferito a un cellulare (anche qui il grassetto è mio):
Eppure nel formare il numero è inquieta; manipola il cellulare, ma è da quando col marito s'è installata nel residence per essere più libera e meno osservata nei suoi movimenti, che ci prova; fin dalle dieci di mattina, ma il numero risulta sempre isolato. Evidentemente ha spento l'apparecchio. Ora approfitta del sensibile ritardo del marito, e riprova di nuovo, ma il numero risulta ogni volta inerte. Continua a diteggiare la tastiera con stizza, e intanto si domanda come mai tutta questa messa in scena, e che senso ha averla fatta venire fin quassù, dal momento che poi lui non ci viene mai.
Ricercando "diteggiare" su Google Libri si trovano soprattutto esempi nell'ambito della musica: questo mi sembra naturale, poiché è l'uso che appare nei dizionari.
La mia domanda sarebbe: l'uso del verbo "diteggiare" riferito alla tastiera di un cellulare è qualcosa di insolito? O è diventato più o meno comune?