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Ho solo di recente scoperto che il termine accortenza è di utilizzo prettamente partenopeo, mentre la corretta forma italiana sarebbe accortezza. Sembra che esso sia un regionalismo, considerato scorretto altrove, ma che ha uso tipicamente comune, informale ma anche formale, in quella zona del paese.

La cosa mi ha piuttosto sorpreso e son andata a cercare la ragione di questa discrepanza: l'Accademia della Crusca chiarisce che i due sostantivi si son formati da due diversi suffissi latini e che accortezza è quello regolare, formatosi cioè da un participio passato usato come aggettivo. L'altra proviene morfologicamente da un participio presente.

Dal canto suo però accortenza, spulciando fonti storiche, pare abbia avuto una generica origine popolare, non relegata a Napoli, e sia stata in seguito acquisita stabilmente nell'italiano regionale della zona.

Si riporta anche una lieve differenziazione semantica: mentre accortezza è sinonimo di prudenza e accuratezza, accortenza ha il ruolo più generico di attenzione.

Mi chiedo se il termine (che, ripeto, per me è neuronalmente la forma giusta e mi tocca forzatamente sostituirlo con "accortezza") è in regioni diverse dalla Campania considerato del tutto scorretto, esclusivamente dialettale, se addirittura non verrebbe compreso.

Mi piacerebbe anche capire come si è storicamente sviluppato il confinamento ad una parte del paese di un termine di derivazione latina e di uso genericamente popoolare.

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    Non ti sorprenderà sapere che, pur condividendo il tuo dolore (oh povero e incompreso uscire transitivo!), non avevo mai sentito "accortenza" prima d'ora. Ti consoli il fatto che è molto più facile da digerire di altri regionalismi, come "in parte a" per significare "a fianco di". (Non essendo campano però non rispondo).
    – badp
    Commented Nov 23, 2013 at 10:09
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    martina, l'unica accortenza in questo caso è avere l'accortezza di non usare accortenza fuori dal contesto regionale dove è usata. Commented Nov 23, 2013 at 10:51

1 Answer 1

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Quando guardiamo alla provenienza e all'uso delle parole in italiano, non dobbiamo dimenticare la storia della nostra lingua e della nostra penisola.

Malgrado oggi la nostra lingua sia comprensibile a tutti dalle Alpi alla punta della Sicilia, in passato non era così, e se anche gli autori che studiamo a scuola sembrano parlare tutti la stessa lingua quando smettevano di scrivere dovevano utilizzare il volgare/dialetto per parlare con chi li circondava. E ovviamente la distinzione italiano-dialetto non è dicotomica, ma ci sono mille sfumature tra l'italiano della crusca e il dialetto basso,

L'italiano soprattutto quello parlato, ma anche lo scritto, è sempre in bilico tra la lingua che si impara a scuola e la lingua che ci circonda. (Perfino chi non parla o capisce nessun dialetto, ahimè, è comunque immerso in un mondo che utilizza parole, costruzioni o prestiti da una lingua più "bassa").

Se a questo aggiungi che perfino in tempi recenti le occasioni di scambio tra parlanti di diverse regioni erano limitate alla carta stampata, libri e giornali, è facile immaginare che alcune parole o espressioni si siano costruite e conservate a livello locale.

Anche la suddivisione della penisola in diversi stati fino a 150 anni fa è un altra delle ragioni di questa situazione. Il linguaggio ufficiale delle leggi, e anche i programmi scolastici, aiutano la diffusione di un lessico comune. In tal senso puoi confrontare l'italiano parlato in Italia con quello parlato in Canton Ticino, malgrado la vicinanza noterai sicuramente molte parole "sbagliate".

Queste sono alcune delle macroragioni dietro lo sviluppo di parole o espressioni locali; a queste poi se ne aggiungono di specifiche per le singole parole.

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