Il senso generale di “ventura”, come si diceva, è quello di “sorte”, “destino”. Di qui ha però assunto accezioni specifiche in locuzioni specifiche.
Nell'italiano contemporaneo si usa quasi solo nella locuzione “andare alla ventura”, cioè affidarsi al caso, e per i “capitani di ventura”, che più che al caso si affidavano a chi pagava di più. E a pensarci, anche “fortuna” – che nell'accezione classica poteva essere positiva o negativa e in quella moderna è quasi solo positiva – ha un senso relativo al successo economico (“ha gudagnato una fortuna”).
Il richiamo a questi mercenari può far pensare che a quel personaggio di Artemisia si attribuiscano interessi materiali e quasi meschini (non a caso, “mercenaria” si dice anche di una prostituta).
Questa interpretazione è coerente con una delle interpretazioni dell'enigmatico verso 61 del II canto dell'Inferno, in cui Beatrice definisce Dante «l'amico mio, e non della ventura». Una delle letture più accreditate è appunto che Dante perseguisse la dottrina delle cose divine (personificata da Beatrice) di per sé e non ambendo a ricompense o vantaggi.
Quindi queste considerazioni, insieme alla contrapposizione alla virtù, fanno pensare che chi parla considera la pittrice nella migliore delle ipotesi poco costante nelle sue intenzioni, e nella peggiore attaccata a bassi interessi materiali.