Nel romanzo Diceria dell'untore, di Gesualdo Bufalino, ho letto:
Il Gran Magro, giudicava i malati per annate, come un intenditore di vini o un maestro in pensione. Lo assecondavano essi, resistendo raramente alla Rocca per più di quattro stagioni. La durata media era quella, da un ottobre all'altro, il tempo di aggregarsi e imparare un linguaggio, consuetudini, un decalogo che valesse per tutti. Ciascuno, infine, quasi pretendendo alla nobiltà di una staffetta di lampade, appena si sentiva vicino a cadere, affidava a un successore il suo povero testimone: un cimelio, un trucco, un nomignolo. Così da vent'anni il Gran Magro continuava a esser chiamato il Gran Magro, dopo ch'erano morti in venti, insegnandoselo prima di morire.
Il Gran Magro è un medico del sanatorio per malati tubercolosi della Rocca, dov'è ricoverato l'io narrante.
Ho cercato "pretendere" e "staffetta" in alcuni dizionari, ma non riesco a capire il senso dell'espressione "pretendendo alla nobiltà di una staffetta di lampade" in questo testo. Sapreste spiegarmelo?