Secondo il Grande dizionario della lingua italiana, che riporta le prime attestazioni delle diverse accezioni di ogni termine, i primi usi di "bello" per indicare "molto, abbondante, grande, grosso, notevole, ecc." come qualifica di un sostantivo risalgono al Trecento. Su questa fonte ne troviamo questi esempi del Decameron di Boccaccio e dei Ricordi di Giovanni di Pagolo Morelli:
Boccaccio, Dec., 2-7 (196): Fece una sera, per modo di solenne festa, una bella cena. Idem, Dec., 8-2 (239): Per bella paura entro, col mosto e con le castagne calde si rappattumò con lui. G. Morelli, 445: Per bella paura... gittò le bandiere del Comune in terra giù ne' fossi.
Invece, l'uso di "bello" seguito immediatamente da un aggettivo per "sottolineare il valore dell'aggettivo" a cui accompagna è molto più recente: questo dizionario riporta come prima attestazione questa citazione dai Cento racconti popolari lucchesi di Idelfonso Nieri, pubblicati nel 1906:
Nieri, 245: Una volta un uomo, là sulla fine di Maggio, aveva menato il miccio a pascere, e l'aveva lasciato bello libero, perché si scialasse meglio.
Tuttavia, la prima attestazione dell'espressione "bello e" o "bell' e" seguita da un aggettivo o da un participio (o da un avverbio e più raramente anche da un infinito o un sostantivo) risale all'inizio del Trecento:
Fra Giordano, 3-152: Noi avemo l'uovo bello e mondo, e la gallina bella e cotta, e non avemo se non a mangiare.
Boccaccio, Dec., 8-3 (243): Chi facesse le macine belle e fatte legare in anella, prima che elle si forassero.
Questi usi di "bello" non sembrano avere a che vedere col latino: secondo lo stesso dizionario l'aggettivo latino bellus proveniva
dal linguaggio affettivo e familiare come dimin. di bonus (cfr. le forme arcaiche attestate duenos e duomus), con la vocale che si continua nell'avv. bene: *benülus da *duenolos.