Nel romanzo Il sorriso dell'ignoto marinaio, di Vincenzo Consolo, ho letto:
Di scecchi in groppa, jiumente e mulaccioni, cavalcioni financo a servitori, servi costanti e fidi del barone, dall'aspre pietre, dirupi del Calanna, franti e malati, io nel corpo per troppo accasciamento, il mio criato in testa per vacanza, dal romitorio di cattivitate di quell'insano frate liconario, calammo di leggieri sul paese.
Per aggiungere un po' di contesto, la vicenda narrata accade poco dopo i fatti di Alcàra Li Fusi, durante i quali i personaggi a cui allude il brano si erano rifugiati nel romitorio di Santo Nicolò, dove c'era un eremita pazzo. Riguardante a questo "criato", una frase precedente afferma:
il mio servo Sasà s'era ridotto a schiavo e succubo del frate, e l'adorava e vaneggiando, il babbalèo, lasciavasi legnare, vestire di cilicio, cosparger la testa di terra e d'escrementi
Ho cercato il termine "vacanza" in alcuni dizionari, ma non riesco a capirne il senso nel passaggio sopra citato, che ha un linguaggio volutamente ottocentesco perché è parte di una lunga lettera che scrive il barone di Mandralisca. Qualcuno di voi mi sa spiegare cosa significa?
Per quanto riguarda il vocabolo "liconario", qualche giorno fa avevo trovato cosa vuol dire in questo dizionario etimologico di meridionalismi dell'Università di Nizza ma, purtroppo, sembra che non funzioni più. In siciliano sarebbe "lupunariu" e significa "licantropo". Infatti si tratta di una mistura probabilmente inventata dall'autore dei vocaboli "licantropo" e "lupunariu" (italianizzato).