Riguardo all'uso del grafema j, nella sezione I.151 del suo libro Italiano (editato per la prima volta nel 1997), Luca Serianni afferma:
Il grafema j è stato tradizionalmente impiegato fino agl'inizi del nostro secolo – ma non regolarmente – per rappresentare /j/ in posizione iniziale o intervocalica (jeri, notajo; ma non *bjanco) e, più spesso, per il plurale dei nomi in -io (studio-studj: uso accolto nella 5ª edizione del Vocabolario della Crusca, 1863-1923: cfr. MIGLIORINI 1963a: 669).
Per indicare la semiconsonante nei nomi comuni j ha goduto di qualche fortuna novecentesca: ne fa uso regolare Pirandello (per esempio, da Enrico IV: guajo II 11, t'ajuteremo 14, appajono 41, sajo 49, ecc.); esempi sporadici in altri scrittori (Cecchi, Gadda, citati in SATTA 1981: 43; ajuto in Deledda, L'incendio nell'uliveto, 41, ecc.).
Nei nomi propri j regge discretamente, ma solo in posizione iniziale, in alcuni toponimi: Jonio, Jugoslavia, Jacurso, Jelsi, Jenne, Jerzu, Jesi, Jesolo, Joppolo; e in primi nomi quali Jacopo, Jolanda, Jole, Jone. Ancora più stabile j iniziale di primi nomi esotici o esotizzanti (Jader, Jago) e j iniziale o interna di cognomi (Jacobini, Jannaco, Jorio, Jovine, Lojacono, Lojodice, Ojetti, Scialoja, Bajlo, Majno, Rajna, ecc.).
Peraltro tutte le forme citate ammettono variani con i. Anzi, «si può dire in generale che non esistano casi in cui j non possa essere sostituita da un semplice i», tant'è che «nell'uso dei dizionari, delle enciclopedie e d'altri repertori alfabetici prevalente in Italia [...] le lettere i e j sono mescolate insieme e trattate come lettera unica agli effetti dell'ordinamento alfabetico delle voci» (MIGLIORINI-TAGLIAVINI-FIORELLI 1969: XXIV-XXV).
Quindi, da quanto si può leggere in questa spiegazione, non credo che scrivere "bojate" si possa considerare scorretto, ma non è certamente la forma ortografica prevalente nell'attualità.