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antonio
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  • 3

Update

A quanti pensano di avere solide certezze in materia di dizione, sottoporrei il pensiero dell'Accademia della Crusca

A beneficio degli stranieri, che potrebbero non conoscerla:

In Italia e nel mondo l'Accademia della Crusca è uno dei principali punti di riferimento per le ricerche sulla lingua italiana. La sua attività presente punta a [...] diffondere [...] la coscienza critica dell'evoluzione attuale [della nostra lingua], nel quadro degli scambi interlinguistici del mondo contemporaneo.

Venendo alla pronuncia della s, l'Accademia parla di

perplessità sulla esatta pronuncia [della s] in alcune parole

e il motivo sta in ciò che il nostro

sistema grafico ha fornito soltanto un grafema, un segno, per indicare sia la variante sorda che la sonora, lasciando quindi nell'incertezza i parlanti non toscani [...] (una situazione analoga a quella delle vocali e e o aperte o chiuse).

Non bisogna dimenticare che soltanto in tempi recenti ci siamo dotati di mezzi audio per diffondere la pronuncia corretta, ma all'indomani dell'unità d'Italia, l'italiano ufficiale si poteva veicolare

a partire dal modello fiorentino soltanto per scritto, sulla base dei testi dei grandi scrittori e dei vocabolari, lasciando una perenne incertezza sull'esatta pronuncia di alcune parole che presentavano la s

Anche le persone colte, dunque, si trovavano in difficoltà: costoro sapevano che la s latina era sempre sorda, ma non potevano sapere quando, nel passaggio all'italiano fiorentino, dovevano sonorizzarla, appunto per la mancanza di specifici grafemi nei vocabolari, e stesso dicasi per le vocali aperte e chiuse.

Dal fiorentino si è passato ufficialmente al romano durante il ventennio. Questa fase è cruciale, in quanto è noto che una lingua parlata si diffonde tramite radio, prima, cinema e televisione poi, e in Italia tutte queste strutture furono ubicate da Mussolini in Roma, in particolare la nostra Hollywood, Cinecittà.

Ma qual era dizione "suggerita" dal regime per la "s" o per le altre ambiguità menzionate dalla Crusca?
Basta consultare il Prontuario di pronuncia e di ortografia di Bertoni e Ugolini, imposto come manuale ufficiale della radio.

I. Quando Firenze si accorda, come avviene quasi sempre, con Roma, si accetterà la pronunzia fiorentina e romana (per es. néve, fórno, mòdo, ecc.)
II. Questa pronunzia sarà accolta anche quando le altre città toscane non si accordino con Firenze (per es. nève a Siena, Pisa, ecc. contro néve di Firenze)
III. Quando Roma non si accordi con Firenze, due strade ci stanno aperte dinanzi: o accettare, sull'esempio dei nostri attori, la pronunzia fiorentina colta, come quella della culla della nostra lingua letteraria, ovvero accettare la pronunzia colta di Roma, come quella della Capitale in cui si foggia, con la storia, la lingua della patria
Noi proponiamo la pronunzia della capitale. [...] Siamo convinti che, mentre la pronunzia di Firenze ha per sé il passato, quella di Roma ha per sé l'avvenire

La scelta linguistica del regime, unitamente all'ubicazione delle strutture ove venivano reclutate le "voci", spiega quale possa essere la pronuncia che a tutt'oggi viene insegnata nelle varie scuole di dizione.

Ovviamente con l'avvento dei sintetizzatori vocali il problema si ripropone. A quale stile mai si rifarà il vocabolario menzionato della nostra OP? Utilizza le vocali aperte di Milano o quelle chiuse di Roma?

Trattandosi di un dizionario RAI, cioè del servizio radiotelevisivo di Stato, sarebbe facile dire che ha optato per pronuncie tipiche della città che "ha per sé l'avvenire".
In realtà, il problema è più complesso, in quanto per i casi ambigui come quelli presentati da @Charo, un sintetizzatore audio deve per forza operare una scelta: "chiudo" o "apro"? "sonorizzo" o no? Quando nemmeno l'Accademia della Crusca sa come regolarsi, la scelta più semplice è quella di restare nel solco della tradizione.

Tuttavia, per quel che riguarda i parlanti, italiani o stranieri che siano, il "discorso" (è appunto il caso di dire) è ben diverso. Oggi, per fortuna, non siamo piu soggetti al Manuale si è fatta strada una versione non normativa della lingua, alternativa a quella dei cosiddetti "puristi".

Spero che ciò chiarisca, senza troppi inutili tecnicismi, il peso anche storico della dizione nella nostra lingua, non sminuendone il valore.

Concluderei dicendo che, per qualsiasi esame, è sempre bene attenersi ai desiderata del docente. Superato l'esame di italiano, come suggerito dagli Accademici della Crusca, è bene sviluppare una "coscienza critica della sua evoluzione attuale".

(I corsivi nelle citazioni sono miei)

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A quanti pensano di avere solide certezze in materia di dizione, sottoporrei il pensiero dell'Accademia della Crusca

A beneficio degli stranieri, che potrebbero non conoscerla:

In Italia e nel mondo l'Accademia della Crusca è uno dei principali punti di riferimento per le ricerche sulla lingua italiana. La sua attività presente punta a [...] diffondere [...] la coscienza critica dell'evoluzione attuale [della nostra lingua], nel quadro degli scambi interlinguistici del mondo contemporaneo.

Venendo alla pronuncia della s, l'Accademia parla di

perplessità sulla esatta pronuncia [della s] in alcune parole

e il motivo sta in ciò che il nostro

sistema grafico ha fornito soltanto un grafema, un segno, per indicare sia la variante sorda che la sonora, lasciando quindi nell'incertezza i parlanti non toscani [...] (una situazione analoga a quella delle vocali e e o aperte o chiuse).

Non bisogna dimenticare che soltanto in tempi recenti ci siamo dotati di mezzi audio per diffondere la pronuncia corretta, ma all'indomani dell'unità d'Italia, l'italiano ufficiale si poteva veicolare

a partire dal modello fiorentino soltanto per scritto, sulla base dei testi dei grandi scrittori e dei vocabolari, lasciando una perenne incertezza sull'esatta pronuncia di alcune parole che presentavano la s

Anche le persone colte, dunque, si trovavano in difficoltà: costoro sapevano che la s latina era sempre sorda, ma non potevano sapere quando, nel passaggio all'italiano fiorentino, dovevano sonorizzarla, appunto per la mancanza di specifici grafemi nei vocabolari, e stesso dicasi per le vocali aperte e chiuse.

Dal fiorentino si è passato ufficialmente al romano durante il ventennio. Questa fase è cruciale, in quanto è noto che una lingua parlata si diffonde tramite radio, prima, cinema e televisione poi, e in Italia tutte queste strutture furono ubicate da Mussolini in Roma, in particolare la nostra Hollywood, Cinecittà.

Ma qual era dizione "suggerita" dal regime per la "s" o per le altre ambiguità menzionate dalla Crusca?
Basta consultare il Prontuario di pronuncia e di ortografia di Bertoni e Ugolini, imposto come manuale ufficiale della radio.

I. Quando Firenze si accorda, come avviene quasi sempre, con Roma, si accetterà la pronunzia fiorentina e romana (per es. néve, fórno, mòdo, ecc.)
II. Questa pronunzia sarà accolta anche quando le altre città toscane non si accordino con Firenze (per es. nève a Siena, Pisa, ecc. contro néve di Firenze)
III. Quando Roma non si accordi con Firenze, due strade ci stanno aperte dinanzi: o accettare, sull'esempio dei nostri attori, la pronunzia fiorentina colta, come quella della culla della nostra lingua letteraria, ovvero accettare la pronunzia colta di Roma, come quella della Capitale in cui si foggia, con la storia, la lingua della patria
Noi proponiamo la pronunzia della capitale. [...] Siamo convinti che, mentre la pronunzia di Firenze ha per sé il passato, quella di Roma ha per sé l'avvenire

La scelta linguistica del regime, unitamente all'ubicazione delle strutture ove venivano reclutate le "voci", spiega quale possa essere la pronuncia che a tutt'oggi viene insegnata nelle varie scuole di dizione.

Ovviamente con l'avvento dei sintetizzatori vocali il problema si ripropone. A quale stile mai si rifarà il vocabolario menzionato della nostra OP? Utilizza le vocali aperte di Milano o quelle chiuse di Roma?

Trattandosi di un dizionario RAI, cioè del servizio radiotelevisivo di Stato, sarebbe facile dire che ha optato per pronuncie tipiche della città che "ha per sé l'avvenire".
In realtà, il problema è più complesso, in quanto per i casi ambigui come quelli presentati da @Charo, un sintetizzatore audio deve per forza operare una scelta: "chiudo" o "apro"? "sonorizzo" o no? Quando nemmeno l'Accademia della Crusca sa come regolarsi, la scelta più semplice è quella di restare nel solco della tradizione.

Tuttavia, per quel che riguarda i parlanti, italiani o stranieri che siano, il "discorso" (è appunto il caso di dire) è ben diverso. Oggi, per fortuna, non siamo piu soggetti al Manuale si è fatta strada una versione non normativa della lingua, alternativa a quella dei cosiddetti "puristi".

Spero che ciò chiarisca, senza troppi inutili tecnicismi, il peso anche storico della dizione nella nostra lingua, non sminuendone il valore.

Concluderei dicendo che, per qualsiasi esame, è sempre bene attenersi ai desiderata del docente. Superato l'esame di italiano, come suggerito dagli Accademici della Crusca, è bene sviluppare una "coscienza critica della sua evoluzione attuale".

(I corsivi nelle citazioni sono miei)

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antonio
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Non comprendo la tua insegnante.
Queste questioni pertengono la dizione e dipendono dalla regione in cui ti trovi. Non esistono regole, salvo rari casi, come "pesca", dove, a seconda dell'apertura/chiusura della "e", cambia il significato della parola.
Diverso sarebbe se tu volessi imparare l'accento di una particolare regione.