La cassetta non era altro che una forma di tortura praticata (purtroppo anche) dalle forze dell’ordine.
Ecco un estratto da Le torture della polizia negli anni di piombo
A volte la cosa “scappava di mano”, come nella questura di Palermo,
1985. Oscar Luigi Scalfaro, che era allora ministro dell´Interno, dichiarò: “Un cittadino è entrato vivo in una stanza di polizia e ne è
uscito morto”. Era un giovane mafioso, fu picchiato e torturato col
metodo della “cassetta”: un tubo spinto in gola e riempito di acqua
salata. Gli sfondò la trachea, il cadavere fu portato su una spiaggia
per simularne l´annegamento in mare. Alla notte di tortura
parteciparono o assistettero decine di agenti e funzionari. Avevano
molte attenuanti: era stato appena assassinato un valoroso funzionario
di polizia, Beppe Montana, “Serpico”.
Ci sono anche questi documenti risalenti al primissimo dopoguerra segnalati da @Charo in cui viene descritta in modo ancora più preciso:
L’ispettore Umberto De Giorgi della Polizia Scientifica firmò in data
18/1/46 una perizia sui metodi di tortura dell’Ispettorato Speciale.
Tale perizia, richiesta dal Procuratore Generale Colonna per conto
della Corte d’Assise Straordinaria di Trieste (copia in archivio
IRSMLT 913) descrive, tra le altre cose, i metodi di tortura della
“cassetta” e della “sedia elettrica”. Leggiamone le descrizioni:
stando alle deposizioni testimoniali, allorquando la vittima non
confessava (nonostante il dolore provocato dalla distensione forzata
di tutto il corpo mediante trazione delle corde fissate agli arti e
fatte scorrere negli anelli infissi al pavimento, che spesso
provocavano la lussazione delle spalle), era costretta a subire
l’introduzione nell’esofago del tubo dell’acqua, che le veniva fatta
ingoiare fino a riempimento totale dello stomaco; indi per azione di
compressione esercitata da un segugio sul torace, le veniva fatta
rigurgitare a mo’ di fontana, che, stante la posizione supina, spesso
doveva minacciare di soffocamento la vittima stessa;