Leggendo i commenti al canto XVIII del Purgatorio di Dante Alighieri scritti da Anna Maria Chiavacci Leonardi, nata nelle Marche, nel volume pubblicato da Mondadori, ho trovato questo:
Forse Dante raccolse in Verona una tradizione su questo abate accidioso di più di un secolo prima, ma la cosa non è probabile, né necessaria. Nulla ne sanno i suoi commentatori, e lo stesso Pietro, che visse e scrisse in Verona, osserva soltanto: «Vitium accidiae multum inter claustrales frequentatur».
Allora mi sono messa a ricercare meglio in questo libro e ho trovato altri esempi di uso della preposizione "in" con nomi di città e cittadine:
Nel marzo viene in Firenze il principe Carlo Martello, figlio di Carlo II d’Angiò re di Napoli, per incontrare il padre che torna dalla Francia; Dante lo conosce, forse come giovane cavaliere del corteggio che il Comune mette a disposizione del principe, e stringe con lui un rapporto di stima e amicizia.
[...] l’Impero romano è considerato vacante dalla morte di Federico II in Conv. IV, III 6, in quanto i tre imperatori eletti in seguito in Germania – Rodolfo d’Asburgo, Adolfo di Nassau e Alberto d’Austria, regnante nel 1300 e a cui qui ci si rivolge – non furono mai incoronati in Roma [...].
[...] fu valente giureconsulto e, secondo Benvenuto, fu anche dottore di leggi in Bologna. Mentre era magistrato in Siena, condannò [...].
Il costrutto ipotetico (s’io fosse...) sembra riecheggiare i vv. 9-10 dell’epigrafe posta sulla tomba di Iacopo nella chiesa di San Domenico in Fano [...].
Anche nelle note e nei commenti di Anna Maria Chiavacci Leonardi al Paradiso di Dante (Mondadori) se ne possono trovare molti esempi. Eccone alcuni:
[...] santo martire venerato in tutta la cristianità, al cui nome si intitola una delle maggiori basiliche romane; di origine spagnola, diacono in Roma, fu arso vivo su una graticola durante la persecuzione di Valeriano nel 258.
A pronunciare i tre discorsi sono scelti tre personaggi legati personalmente, e affettivamente, al potere politico condannato: il principe angioino nel primo caso, Cunizza da Romano nel secondo (della casa cioè che aveva dominato in Padova nella prima metà del secolo) e un vescovo, cioè un rappresentante della Chiesa, nel terzo.
[...] presso il vescovo di Feltre, Alessandro Novello di Treviso, si erano rifugiati nel 1312 quattro fuorusciti ferraresi, che fuggivano da Pino della Tosa, vicario di Roberto d’Angiò e della Chiesa in Ferrara. Il vescovo, cedendo alla pressioni di Pino e dei trevisani, li consegnò al vicario angioino, che li fece decapitare.
Ma la testimonianza di Pietro di Dante, che fra l’altro visse in Verona dopo la morte del padre, sembra su questo punto decisiva: [...].
Quindi, in vista di questi esempi, è chiaro che Serianni sta spiegando che esistono zone in Italia (in particolare nelle Marche) in cui si usa la preposizione "in" con tutti i nomi di città, non soltanto con quelli che cominciano con la lettera "a".