Tutte (o quasi, vedi quella citata nella risposta di @abarisone) le fonti d’informazione che sono riuscito a trovare spiegano che l’espressione “garantito al limone” trarrebbe origine da uno sketch pubblicitario di un detersivo per piatti (Last al limone), che terminava appunto con queste parole. Questa pubblicità sarebbe stata diffusa (in Italia, ovviamente) via radio e TV non prima della seconda metà degli anni Cinquanta del secolo scorso, il che implicherebbe, chiaramente, l’impossibilità che tale modo di dire venisse usato in precedenza.
Un certo fatto mi spinge a chiedermi se questa ricostruzione non possa essere inesatta, e in particolare se sia possibile che l’espressione fosse già usata negli anni immediatamente precedenti la Seconda Guerra Mondiale. In particolare, vorrei chiedere:
È possibile che l‘origine dell’espressione fosse in realtà un’altra, precedente, e che lo slogan pubblicitario l’abbia semplicemente ripresa, giocando su un modo di dire già in uso?
Oppure, è possibile che la pubblicità di quel detersivo al limone venisse già diffusa, naturalmente solo via radio, già prima dell’ultima guerra mondiale?
Aggiunta: motivazione
Un commento suggerisce che dovrei forse spiegare cosa mi ha spinto a formulare questa domanda, e in particolare a ipotizzare che l’espressione “garantito al limone” potesse essere in uso già da prima degli anni ‘50 del Novecento.
Il dubbio mi nacque non ricordo bene quanti anni fa, leggendo il romanzo Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani, e mi è tornato in mente lo scorso giugno, perché, come ricorderete, proprio su questo libro era incentrata una delle tracce della prova scritta di italiano dell’esame di maturità (in Italia). Chi conosce l’opera ricorderà che l’evento il quale mette, per così dire, in moto la vicenda che vi viene narrata è l’espulsione dal circolo tennistico “Eleonora d’Este” di tutti i soci “di razza ebraica”, compresi, naturalmente, i due rampolli dei Finzi-Contini, Alberto e Micòl. Questo evento, a sua volta, è preceduto, e in realtà causato, da un altro episodio, e cioè l’interruzione della finale del doppio misto che Adriana Trentini e Bruno Lattes — ebreo, quest’ultimo — stanno inopinatamente disputando, e ancor più inopinatamente vincendo, contro Désirée Baggioli e Claudio Montemezzo; sul quattro a due per la coppia Trentini-Lattes nel secondo set, essendo il primo già stato vinto da loro, il marchese Barbicinti, giudice-arbitro del torneo, sospende appunto la partita, adducendo come motivo (o pretesto?) la sopraggiungente oscurità; è proprio a seguito di questa interruzione che, ripeto, il circolo espellerà i soci ebrei, con la raccomandata-espresso di “accettazione delle dimissioni” inviata a Bruno Lattes addirittura overnight, così da impedirgli, già a partire dal giorno dopo, di ripresentarsi sul campo per riprendere l’incontro.
Bassani fa narrare l’episodio alla stessa Adriana, e fa aggiungere a Bruno alcuni commenti: secondo la sua interpretazione, il vero colpevole dell’odioso comportamento del marchese Barbicinti era stato il giovane universitario fascista Cariani, “petto da tisico e ossa da cardellino”, servile coi gerarchi suoi superiori, ma prepotente con chiunque la sua posizione di membro dei G.U.F. gli permettesse di esserlo, specie se con ciò poteva farsi bello agli occhi dei primi. Citando direttamente dal romanzo:
Il marchese Barbicinti era la persona che era: un signore distinto, senza dubbio, ma piuttosto a terra in fatto d’“autonomia di carburante”, e tutt’altro che un eroe. […] Doveva dunque essere stato uno scherzo, per Cariani, riempire il povero Enne Acca di tremarella. Gli aveva detto, magari: “E domani? Ha pensato a domani sera, marchese, quando il federale verrà qui, per la festa da ballo, e si troverà a dover premiare un… Lattes con tanto di coppa d’argento e relativo saluto romano? Io, per me, prevedo un grosso scandalo. E grane, grane a non finire. Al posto suo, dato anche che comincia a far buio, non ci penserei due volte a interrompere la partita”. Non c’era voluto niente di più, “garantito al limone”, per indurre l’altro alla grottesca e penosa irruzione nella quale si era prodotto.
Eccola qui: si badi bene che Bassani mette l’espressione tra virgolette, dunque direttamente in bocca a Bruno (concordemente con l’uso costante che egli fa della sua tipica tecnica stilistica di far parlare i suoi personaggi attraverso la forma del discorso indiretto, ma inserendovi le interiezioni proprie del discorso diretto); in altre parole, ne fa scientemente una frase pronunciata nel 1938. Ecco cosa mi ha spinto a chiedermi se essa potesse essere in uso già prima della guerra.
Naturalmente, si potrebbe rispondere che la cosa è facilissimamente spiegabile come un semplice errore dell’autore; ma lo ritengo assai poco probabile. Il romanzo è del 1962: se davvero l’idioma “garantito al limone” si diffuse nella seconda metà degli anni ‘50, quando Bassani scriveva esso doveva ancora suonare di un nuovo squillante. Impossibile metterlo inavvertitamente in bocca a un personaggio di venticinque anni prima, anche perché, lungo il ciclo di pubblicazione di un’opera del genere, esiste (o, almeno, allora esisteva…) chi si prenderebbe cura di segnalare la svista. Sarebbe come se, scrivendo ora un romanzo ambientato, diciamo, nel 1995, l’autore facesse dire a un suo personaggio, che so, “Enrico, stai sereno!”: potrebbe mai sfuggirgli il fatto che quella frase, allora, non poteva avere alcun significato? Piuttosto, penserei, semmai, a un anacronismo volontario, uno dei numerosissimi indovinelli per il lettore piccoli, medi e minuscoli (come i giochi con la topografia di Ferrara, il liceo Guarini, lo stesso circolo tennistico Eleonora d’Este, lo stesso nome di Désirée Baggioli…), di cui, si può dire, il romanzo è costellato.