Come è stato ricordato, il termine inglese è piuttosto recente: risale al 1966, coniato da J.J. Gibson, e l'English Oxford Dictionary riporta quella che presumibilmente è la prima frase in cui compare (non considerando un diverso e più antico uso locale della parola):
When the constant properties of constant objects are perceived (the shape, size, color..[etc.]), the observer can go on to detect their affordances. I have coined this word as a substitute for values, a term which carries an old burden of philosophical meaning. I mean simply what things furnish, for good or ill. (J. J. Gibson, Senses considered as Perceptual Systems, xiii. 285)
«Quando vengono percepite le proprietà costanti di oggetti costanti (la forma, le dimensioni, il colore [etc.]), l'osservatore può procedere a rilevarne le [affordances]. Ho coniato questa parola come sostituto per valori, un termine che si porta dietro un vecchio fardello di significati filosofici. Intendo semplicemente ciò che le cose forniscono, nel bene e nel male.» (Traduzione di servizio mia, e sono conscio della precarietà di quel “forniscono”.)
Essendo un neologismo anche per l'inglese, ci sono in italiano tre possibilità: 1) prendere di peso la parola inglese; 2) coniare un neologismo italiano; 3) risemantizzare una parola esistente italiana.
1) Il prestito letterale attualmente è forse la soluzione più diffusa in vari ambiti, soprattutto scientifici e tecnici, da “computer” a “cupping”, ma personalmente non incoraggerei questa tendenza, sia perché non ne ha bisogno, sia perché si porta dietro il problema di introdurre termini spesso mal usati, mal pronunciati, di cui a volte non si sa formare il plurale e così via.
2) Il meccanismo classico si limiterebbe semplicemente a adattare alla fonetica e alla grammatica italiane il termine straniero: affordanza, così come avvenne in passato per innumerevoli parole entrate in italiano (fra cui viene spesso esemplificata la beef-steak che divenne bistecca). Oppure, in una sorta di calco, si potrebbe coniare permettenza, ovviamente spiegando di che si tratta quando si introduce il termine (ma anche l'autore anglofono lo fa); può suonare strano, ma dopo tutto è coerente con “urgenza”, “partenza”, “continenza”, “resistenza” etc.
3) L'altro meccanismo che le lingue usano spesso per esprimere nuovi concetti è la risemantizzazione di termini esistenti, cioè prendere una parola e assegnarle un nuovo significato in aggiunta al preesistente. Il senso base di “applicazione” è “atto o effetto dell'applicare” (un cerotto, l'intonaco, una guarnizione, o figuratamente una legge, una regola e così via); nel moderno linguaggio informatico si riferisce invece a un certo tipo di programma; e lo stesso un “lettore” di dischi o file, la “scansione” di un'immagine etc. Anche questo fenomeno si verifica da sempre: pensiamo solo all'“albero” con le foglie, poi a quello della nave e infine a quello del motore dell'automobile.
Quale termine risemantizzare qui lo può decidere meglio chi è più addentro all'argomento, ma Gibson stesso ci suggerisce, anche se per fare una distinzione, valore; oppure, come già proposto, predisposizione.
La mia proposta principale è però invito, che ha già anche il senso di «Qualsiasi accorgimento o artificio costruttivo atto a facilitare l’avvio o l’ingresso; per es., in una scala, il primo gradino, o la serie dei primi gradini, che sporge dagli altri e dalla ringhiera, costituendo quasi un invito a salire; nella viabilità stradale, l’imbocco di un passaggio, di un passo carrabile o anche di una via perpendicolare all’asse della strada principale, che si presenti svasato in modo da facilitare la svolta e l’ingresso di veicoli» (Treccani, 5).